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Teatro

Venerdì 31 Luglio - ore 20.30

QUESTA E’ LA BELLA VITA CHE HO FATTO…
PARTE I: “LA CRANTE QUERRA”

Narrazione teatrale a cura di Stefano Panzeri.

INGRESSO LIBERO

QUESTA E’ LA BELLA VITA CHE HO FATTO. è tratto dall’autobiografia, di un ex bracciante siciliano, semianalfabeta.

Nato nel 1899 a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, Vincenzo ha attraversato il secolo scorso, con le sue guerre, le sue ideologie, le vittorie e le sconfitte, le trasformazioni economiche e sociali, sempre in lotta per la sopravvivenza. La sua è la storia di un’irriducibile individualità ma, allo stesso tempo, è la storia di tanti “ultimi” che raramente hanno preso la parola. Vincenzo scrive della sua sfortunata e disgraziata vita, ma sicuramente non è un vinto: non ha niente a che fare con i personaggi dei Malavoglia, schiacciati dal loro destino. Ha raccontato la tragedia, la fatica, la fame, le malattie ma anche un’ insopprimibile vitalità motivata dal piacere di vivere. Ha pensato e agito come tanti altri italiani, che però, normalmente, non lasciano traccia di sé.
Non ha alcun preciso riferimento rispetto a un astratto “dover essere” ma per questo non si può in alcun modo definirlo un amorale. Sfamare la famiglia, e cioè esaudire un bisogno indiscutibilmente prioritario, è stato l’imperativo morale interiorizzato da bambino. Sapersi “arrangiare”, pratica appresa da soldato, diventa una preziosa
competenza per non soccombere. L’esplicitazione della “fede politica” e, in qualche modo, la coerenza dei comportamenti con essa è un lusso che egli pensa di non potersi permettere. L’istruzione è assunta come il valore più alto: è “la scuola”, non dunque una generica “fortuna” o il denaro accumulato, l’unica certezza su cui ritiene possibile fondare l’aspirazione alla mobilità sociale dei figli e della famiglia nel suo complesso.
Fare di tutto perché i figli vadano a scuola e possibilmente arrivino fino all’università è il  “progetto morale”, condiviso da tanta parte delle famiglie italiane del dopoguerra (con particolare enfasi in quelle meridionali), che orienta tutte le sue scelte. La laurea in ingegneria del figlio maggiore è il goal della sua vita.

LO SPETTACOLO

La storia di Vincenzo affascina chiunque abbia la pazienza di resistere allo shock del lessico e della grammatica strana, all’inizio quasi incomprensibile; coinvolge il lettore
come un diario personale e al contempo come un grande documentario, restituendo la sensazione di vivere il “dietro le quinte “ di avvenimenti che segnano con la loro
importanza la nostra storia, ma che proprio per la loro grandezza, spesso vediamo come lontani, isolati in un tempo che non è più, che non ci apparitene.
Vincenzo non solo ti cattura con la bellezza della sua storia, ma arriva a sfidarti con le sue parole e la sua “presenza”, con una lingua a volte, almeno per un lombardo-veneto come me, che diventa gramelot, e con racconti straordinariamente avvincenti in cui si ride e ci si commuove.
Vincenzo ti regala immagini vive e già teatrali sulla carta e ti mostra, con franca saggezza popolare, l’essenza dell’italiano, il suo rapporto con lo Stato e con il bene comune, quel misto di eroismo e menefreghismo che ci contraddistingue spesso ancora come popolo.
Lo spettacolo che propongo è la prima tappa di un lavoro più ampio che intende seguire Vincenzo lungo tutto il Novecento: mi sono soffermato sulla prima parte della sua vita, le origini, la sopravvivenza nella Sicilia di inizio secolo, poi la chiamata alle armi, la prima Guerra Mondiale e la prima volta “in continente”. Narrare in prima persona la prima parte della vita di Vincenzo e le sue avventure (un personaggio a metà tra un Don Chisciotte e uno Zanni) mi sembra interessante, oltre che come approfondimento didattico (lo spettacolo è pensato per un pubblico anche scolastico) e come occasione per celebrare la ricorrenza dello scoppio del primo conflitto mondiale, anche perchè i primi anni della vita di Vincenzo sono forse quelli più freschi, più esuberanti e perchè dipingono una realtà che per certi versi non è lontana dalla nostra di oggi: penso alla silenziosa incombenza di un conflitto bellico internazionale, alla crisi, alla necessità sempre più impellente di trovare nuovi mezzi di sostentamento.

Stefano Panzeri

 
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